DONT' WASTE MY TIME
Umberto Postal
1986
Tecnica
Dipinto
Materiale
Arazzo panno lenci
Misure
120 x 115 cm
Provenienza
Opera donata dal Premio Nazionale Arti Visive Città di Gallarate nel 1987
N. Inventario
489
Tra gli esponenti del Nuovo futurismo, Umberto Postal sembra essere colui che meno si sia lasciato affascinare dalla ricerca di formati anticonvenzionali – come bassorilievi e sagome modulate – che caratterizzano i lavori di Abate, Innocente, Lodola, Plumcake. In Don’t waste my time, come in tutti i suoi lavori, l’artista trentino rimane legato al formato quadro. Ciò che varia rispetto alla tradizione è la tecnica: l’opera è infatti un arazzo in panno lenci “decorato” con forme geometriche taglienti e colorate ma dal ritmo ordinato e simmetrico. Non solo, a una più attenta osservazione, notiamo che la regolarità è indice del fatto che ci si trova davanti a una scritta lineare, “don’t waste my time”, appunto, “non sprecare il mio tempo”, completamente mascherata dall’abbondanza eterogenea di forme e colori.
Nei lavori di Postal le forme si collocano sul confine tra astrazione e figurazione e tra icona e segnale. In generale le sue opere appaiono come cartelli di segnaletica stradale – e in questo ritroviamo, sebbene non immediatamente, il più puro spirito futurista – dal contenuto misterioso, a volte venato di poeticità, a volte di critica, altre di ironia. Il lavoro di tessitura, inoltre, ricorda i manufatti prodotti sotto diverse latitudini dalle più svariate popolazioni, nel corso della storia. Come nota il maggiore critico del Nuovo futurismo, Renato Barilli: tra “tappeti persiani, kilim anatolici, patchworks americani, ma anche vetrate gotiche, mosaici ravennati, arazzi, Postal rivisita le tappe di una storia millenaria, o di una non-storia e intanto le alleggerisce dei loro gravami materici, contribuendo a quello che forse è lo scopo maggiore della nostra epoca: riversare gli apporti culturali del passato su supporti più leggeri e immateriali, più luminosi e spirituali: il nastro o il disco, nella realtà dei mass-media, le superfici seriche, le feste cromatiche, nella realtà già più sottile e metaforica di questi dipinti”. (LG)