14 giugno 2019–15 giugno 2019
INFINITI RIFLESSI
LA CRONOTOPIA DI RIFLESSI DALL’ ANTICO AL CONTEMPORANEO
Sin dall’antichità lo specchio era collegato ad una funzione simbolica, forse in rapporto al senso d’alienazione che si prova la prima volta che si vede l’io esteriore riflesso davanti a sé, cosa che in seguito diventa abituale. Per questo poi lo specchio si trasforma in un semplice oggetto d’uso. Tuttavia, l’artista Nanda Vigo, per esempio, è stata in grado di renderlo un’opera d’arte.
Nel passato si era soliti usare qualsiasi cosa consentisse di riflettere la propria immagine, passando dallo specchio ad acqua per Narciso, allo scudo di bronzo per gli uomini, mentre lo specchio vero e proprio era uno strumento della toilette femminile, per poi giungere nel 1400 d.C. all’invenzione dello specchio in vetro piombato.
Analizzando le varie tipologie di specchio che ci sono pervenute, esposte nella mostra “Madri Silenziose” presso il museo della Società Gallaratese per gli Studi Patri a Gallarate, notiamo che l’elemento che li accomuna è la forma circolare; infatti, l’origine dello specchio è attribuita agli egizi che lo mettevano in relazione con il disco solare, assumendo così un valore etico-religioso, parte dell’abbigliamento femminile durante i riti religiosi.
Tra i più pregiati esposti alla mostra c’è uno specchio etrusco con l’incisione di una figura alata nella parte posteriore, legata al tema del doppio. Questo affascinante oggetto, infatti, essendo legato alla duplicità dell’io e dell’immagine riflessa, ha assunto anche il significato simbolico di ambiguità, di diaframma tra vita e morte. Per questo sono ricorrenti su di esso le raffigurazioni dei Dioscuri, di Venere, di demoni alati e spesso nell’iconografia funeraria la defunta viene rappresentata con lo specchio in mano. Nello specifico il tema del doppio era molto diffuso nella mentalità greca, come testimoniano i numerosi miti e raffigurazioni a riguardo. Come, per esempio, quella che vede due figure identiche affrontate specularmente: I Dioscuri. Questi sono nati dall’ uovo che é il simbolo per eccellenza dell’ambiguità tra vita e morte. Lo specchio nel mondo antico era parte del corredo funebre femminile e indicava l’appartenenza ad un’elevata condizione sociale.
Nel ‘900 lo specchio assume un nuovo significato, strumento per un esame di coscienza: l’uomo che si specchia mette in discussione sé stesso e la realtà che lo circonda, come nel caso di Uno Nessuno Centomila di L. Pirandello; questo stesso filtro si potrebbe ritrovare anche nei pannelli che frappongono lo spettatore e “Cronotopia” di Nanda Vigo. In quest’opera il valore simbolico dello specchio si trasforma, trovando la sua importanza nella dimensione spaziale architettonica e assumendo rilevanza nei rapporti tra luce e spazio, tempo e movimento: da questi legami deriva il nome “Cronotopia”.
Lo specchio, pertanto, perde un valore simbolico intrinseco ma serve per rivoluzionare il rapporto tra lo spettatore e l’opera: è infatti il pubblico a diventare protagonista interagendo con l’opera e vedendosi specchiato. Così, dopo aver spostato I pannelli che ostacolano l’azione dello specchiarsi, si riesce a contemplare la propria immagine.
Nel “Cronotipo” è significativo l’uso della luce artificiale e di materiali con proprietà riflettenti/rifrangenti (vetri stampati, acciai, specchi) uniti alla monocromia di colori come il bianco, il blu, il giallo e il nero impiegati con il fine di far sembrare il colore “scaturire direttamente dalla luce”. L’opera rinnova “un postulato cinquedimensionale introducente all’ a-dimensione”, cioè permette di vedere lo spazio in 5 dimensioni, mostrando la luce indiretta filtrata da materiali che generano distorsioni nella percezione degli spazi e della luminosità, difficilmente percepibili in un limite di spazio concreto.
La prossima volta che vi specchierete dunque ricordate la storia di questo oggetto, che ha attraversato millenni, assunto significati differenti, fino a diventare un’opera d’arte contemporanea.
Lorenza Davola, Rachele Guenzani, Moira Olivieri